mercoledì 5 ottobre 2011

Storia dei gospel


La deportazione dei primi schiavi negri dall'Africa in America (1619), segna l'inizio di una nuova tradizione culturale, definita come afro-americana, frutto dell'originale incontro tra il patrimonio musicale africano e quello europeo. Essa troverà nella musica jazz e nelle sue varie forme, ancora oggi in continua evoluzione, lo spazio per far emergere la propria autenticità. Soprattutto il canto del blues, dello spiritual e del gospelrappresenta quanto di più specifico e insuperabile l'animo afro-americano abbia saputo elaborare al punto da porsi non poche volte al pari, se non al di sopra, della stessa musica classica europea.
La vitalità africana si trasfonde, in terra americana, nelle primitive forme dei "calls"(richiami) e dei"cries" (grida); i primi costituiscono semplici sistemi di comunicazione di svariati messaggi per chiamare i lavoranti fuori dalle piantagioni, per segnalare l'ora del lavoro o per attirare una ragazza, i secondi sono invece pure manifestazioni sentimentali o vocalizzazioni provate.
Già in queste esecuzioni, prive di un tema o di una struttura definita, si anticipa quella che sarà la libera e personale esposizione del brano nel blues e nel jazz.Dal duro e faticoso lavoro degli schiavi nascono i "work songs", cioè i canti di lavoro; composti da taglialegna, contadini, pescatori, operai dei cantieri ferroviari, manovali e altri neri soggiogati, contengono temi che vanno dalla critica sociale, alla cronaca, al pettegolezzo e sono eseguiti da un cantante che si rivolge al gruppo per raccontare la sua storia.


Tra i "work songs" spicca per complessità e notorietà il genere della "ballad" (ballata), che rielabora talvolta le ballate dei coloni inglesi, scozzesi e irlandesi.
Nelle ballate come nei canti popolari afro-americani in genere si depreca lo sfruttamento dei deboli, tra i quali in particolari la donna, e si proclama il richiamo della libertà perduta facendo uso frequente della simbologia del treno che trasporta i viaggiatori liberi. Alla vista della locomotiva sbuffante lo schiavo sofferente o il poveraccio angariato sperano di poter un giorno vivere liberi.
Questo indomabile anelito presente nel cuore dei neri in cattività spinge molti padroni bianchi, dalla fine del XVIII sec., a cominciare l'opera di conversione al cristianesimo degli schiavi, ancora in gran parte legati alla religiosità di origine africana. La religione viene utilizzata come un valido mezzo di controllo sociale affinché gli schiavi, convertiti dai predicatori protestanti ai sentimenti della carità cristiana, si sottomettano più docilmente al volere dei padroni. Il contatto con la liturgia cristiana porta ad un ibrido tra riti africani, musicalità africana e religione dei bianchi di origine europea. Nascono così i "negro-spirituals" etichetta con cui si distinguono i canti religiosi afro-americani dagli spirituals bianchi; tale definizione si afferma a partire dai primi anni del XIX secolo.

Diffusi nei territori americani di lingua inglese e religione protestante, gli spirituals esternano a confronto con le ballate, un maggior dinamismo sia nel fervore mistico del canto, sia nel tono marziale spesso accentuato col battito delle mani e dei piedi. L'esecuzione è affidata a gruppi corali molto numerosi, raccolti talora in vere e proprie folle come nel caso delle riunioni del "Grande Risveglio", movimento di rinnovamento religioso sorto nell'America settentrionale nel secolo XIX.

Contrariamente alle intenzioni degli schiavisti bianchi, i "negro-spirituals" da semplici inni religiosi si trasformano in una esaltazione della liberazione del popolo nero come coerente alla divina rivelazione. La schiavitù contraddice Dio e nega la sua volontà; Dio certamente concederà, se non la fuga liberatoria verso il Canada, come fu per molti, senz'altro l'accoglienza nel suo Regno in riparazione dei torti subiti. La Bibbia è la fonte prima degli spirituals e contribuisce fortemente al processo di identificazione con gli Ebrei schiavi dei Faraoni in Egitto. La dimensione di popolo nello spiritual è rappresentata dalla sua stessa natura di canto di gruppo, a differenza del blues o dell'esecuzione jazzistica che concedono più spazio al cantante o all'esecutore; il gruppo rievoca la tribù e l'assemblea dei credenti, mentre il predicatore che predica cantando e alternandosi col coro, ricorda l'anziano, il pastore, la guida religiosa.
L'aspetto collettivo del canto raggiunge l'apice nel genere "Gospel", confinato fino agli anni '50 di questo secolo nelle chiese dei neri d'America e diffuso grazie alle voci di grandi interpreti come Mahalia Jackson, Sallie Martin e Roberta Martin. Il suo iniziatore, Thomas A. Dorsey, musicista di Blues a Chicago intorno al 1920 recupera le forme tradizionali degli spirituals, in particolare dei "Jubilee" ovvero le marce come When the Saints e le fonde con le strutture musicali e ritmiche del Jazz e del Blues dando così vita ad un ibrido originale e complesso, ma dalla sonorità ben riconoscibile che costituirà il motivo del vasto successo di questo genere.
Con Dorsey inizia un vero e proprio lancio dei "canti del Vangelo" (Gospel) in tutto il mondo, imprimendo una notevole spinta alla diffusione della musica afro-americana la cui intensità, profondità e stravolgente religiosità porta i fedeli neri a divenire i protagonisti, in modi per noi impensabili, delle liturgie e delle lodi del Signore. Al riguardo infatti (Dorothy Love in un gospel sugli "Holy Rollers", i "Santi rotolanti" cioè i fedeli che trasportati dal canto e dalla preghiera raggiungono l'estasi religiosa ballando e dimenandosi, canta:

"Alcuni diventano allegri, corrono,
altri parlano in una lingua sconosciuta,
alcuni gridano in estatica trance,
non avete mai visto i santi fare la danza sacra?".

La storia del Blues


Se c’è una musica che rappresenta il centro di gravità della popular music, questa è certamente il blues.

Nato in America tra il 19° e il 20° secolo, è stato ed è tuttora una fonte d’acqua viva da cui hanno attinto tutti i generi musicali successivi … e una miriade di musicisti.

Grazie al suo potere generativo e alla sua capacità di attrarre, influenzare e comprendere altre musiche, a lungo andare si è conquistato un appellativo forte : la madre di tutte le musiche.
Raccontare la storia del blues equivale a raccontare la storia e l’emancipazione del popolo afroamericano. Un popolo che nel corso dei secoli ha vissuto il dramma della deportazione, della schiavitù, dell’oppressione e della discriminazione.
Il termine blues è legato all’espressione “to have the blue devils” ovvero “avere i diavoli blu“. Era un modo di dire spregiativo utilizzato dai bianchi che associavano il colore blu al senso di malinconia e tristezza che attribuivano a quella musica sconosciuta.
Ma procediamo con ordine.
ORIGINE
Possiamo dire che il blues è nato nella seconda metà dell’800 e con ogni probabilità la sua culla si trova nella regione del delta del Mississippi in Louisiana.
Certamente una data decisiva per le origini del blues è il 1865. Con la fine della guerra di Secessione, viene dichiarata l’abolizione della schiavitù in tutti gli Stati Uniti d’America. In realtà ci sarà ancora molta strada da fare prima che la popolazione afroamericana riesca a conseguire i suoi diritti, ma intanto è stato posto il primo mattone per le fondamenta di una musica che conquisterà il mondo.
Prima di quella data, agli schiavi era solitamente proibito parlare nella loro lingua d’origine, suonare le percussioni e praticare danze e riti religiosi. Inoltre gli schiavi venivano da comunità e zone dell’Africa differenti. Molto spesso non riuscivano a comunicare tra loro se non utilizzando i rudimenti della lingua inglese. Queste difficoltà favorirono la nascita di forme linguistiche e musicali originali.
La conversione forzata al cristianesimo aveva portato nel corso dell’ 800 allo spiritual, unione della sensibilità musicale del nero coi precetti religiosi. Il massacrante lavoro nei campi di cotone veniva scandito dalle work song, canti di lavoro caratterizzati dalla forma call-and-response che avevano la funzione di elevare lo spirito e trasmettere forza e speranza. E clandestinamente, si svolgeva il ring shout, danza rituale eseguita in circolo e contraddistinta da ritmi sincopati con canto e  battito delle mani.
Sono tutte manifestazioni di una cultura che ha assorbito e sintetizzato in maniera creativa l’influsso di America, Europa e Islam attorno alla propria radice africana. E’ un terreno fertile nel quale in breve tempo germoglia un fiore chiamato blues.
Ora che la strada è aperta, l’incontro con nuovi strumenti musicali permette di ampliare il raggio d’azione. Particolarmente importante è l’utilizzo della chitarra, uno strumento erede del banjo che si affaccia in quel periodo sulla scena, e da cui i bluesman estraevano sonorità assolutamente inedite.
DIFFUSIONE
Agli inizi del secolo il blues è una musica pienamente compiuta e riconoscibile. E’ in questo periodo che avviene il passaggio dalla forma originaria di musica tramandata oralmente a musica di intrattenimento.
Nella prima decade del ‘900 si forma una generazione di musicisti veri e propri che codificano e impongono la musica blues. Contemporaneamente, la migrazione degli afroamericani verso le grandi metropoli come Memphis, New York, Chicago, Detroit e Dallas contribuisce a diffonderne il verbo su scala nazionale.
Nel 1910 nelle grandi città americane si calcola che 1/3 della popolazione è nato all’estero e 1/3 è figlio di immigrati. Nonostante i profondi problemi sociali ed economici della nazione, il carattere cosmopolita dell’America d’inizio secolo non fa altro che esaltare l’espansione e la contaminazione del blues.
Dagli anni ‘20 l’editoria e la discografia si interessano al blues, standardizzandolo nella tipica struttura base di 12 battute. Le prime pubblicazioni su spartito risalgono al 1912, mentre nel 1920 “Crazy blues” di Mamie Smith è il primo brano blues ad essere inciso su disco ed ottiene subito un enorme successo.
In seguito, negli anni ‘30 e ‘40 si vanno formando diverse ramificazioni tutte comunque profondamente radicate nello spirito e nella struttura del blues. Si va dal blues rurale al blues elettrico, dal boogie-woogie al rhythm & blues e dal blues jazzistico al gospel.
Giunto alla soglia degli anni ‘50, il blues ha tracciato un’impronta indelebile nella storia ed è ormai pronto a diventare davvero “la madre di tutte le musiche”. Senza la sua presenza, tantissime musiche non sarebbero mai esistite (rock’n'roll, rock, soul, funk, punk, rap) e molte altre sarebbero state profondamente diverse da come le conosciamo oggi (jazz, pop, country, folk, reggae).
Il suo potere è attivo ancora oggi sia direttamente nella sua forma originale, sia indirettamente nella moltitudine di generi e stili che circolano attorno alle nostre orecchie.
E quindi, in ogni caso … buon Blues a tutti!